Tasse più alte e caro-bollette? Cosa c’entra il «segreto di Akerlof» sulle auto usate e cosa rivela

DiAdessonews

Giu 2, 2025 #ADEGUAMENTO, #adeguamento salari, #akerlof, #alte, #altra, #altra banca, #altra banca milanese, #Alzano, #alzano nuove, #alzano nuove barriere, #ammortamento, #ammortamento investimenti, #analisi, #andamenti, #appena, #articolo, #assemblea, #assemblea confindustria, #Asset, #asset ammortamento, #asset ammortamento investimenti, #aumento, #Auto, #Azionisti, #banca, #banca milanese, #barriere, #bilancio, #bollette, #Bologna, #Bruxelles, #cantiere, #capitali, #Carlo, #carobollette, #centra, #Cinque, #cioè, #compratore, #Confindustria, #confronto, #confronto ultimi, #contare, #contare svalutazione, #contare svalutazione asset, #conti, #conti prossimi, #continua, #conto, #cosa, #Costo, #costo economico, #credo, #crescita, #dà, #dati, #davvero, #Dazi, #dazi interni, #debito, #debito contare, #debito contare svalutazione, #decenni, #decidere, #decreto, #definizione, #dialogo, #dialogo ragioneria, #dialogo ragioneria ufficio, #diritto, #distribuzione, #distribuzione elettrica, #documento, #documento finanza, #documento finanza pubblica, #economia, #economico, #Effetto, #elettrica, #Enel, #energia, #Entrate, #esteri, #Estero, #euro, #europa, #europei, #fabbisogno, #finanza, #finanza privata, #finanza pubblica, #fronte, #Giorgia, #Giorgia Meloni, #golden, #golden power, #gran, #Guadagno, #interni, #Italia, #Meloni, #mercato, #Mese, #metà, #Milanese, #NOTA, #nuove, #Operativa, #più, #potere, #Power, #premier, #pubblica, #Pubblicato, #pubblico, #quotate, #ragioneria, #redditività, #redditività operativa, #resta, #Resto, #ricavi, #riduzione, #Rinnovabili, #RISPETTO, #rivela, #seconda, #Segreto, #settore, #Società, #Società quotate, #spiegare, #sulle, #tasse, #trasparenza, #trimestre, #ultima, #ultimi, #usate, #Vogliamo
Tasse più alte e caro-bollette? Cosa c’entra il «segreto di Akerlof» sulle auto usate e cosa rivela


di
Federico Fubini

La mancanza di trasparenza ha un costo economico, secondo il premio Nobel. L’intervento della premier Giorgia Meloni all’ultima assemblea di Confindustria e il peso dei dazi interni al Paese. Il caso della trimestrale Enel

(Questo articolo è stato tratto dalla newsletter settimanale Whatever it Takes a cura di Federico Fubini, se vuoi iscriverti clicca qui)

George Akerlof è un delizioso signore di una certa età che ha vinto il premio Nobel per l’economia per un’intuizione che ebbe quando era un giovane ricercatore in California, negli anni ’60. In cerca di un’auto ma privo di mezzi, notò che quelle di seconda mano costavano molto meno di quelle nuove anche se il salone le presentava come seminuove. Perché? Era il prezzo del dubbio: il compratore non sa se l’auto, durante la sua breve vita, ha avuto un terribile incidente o se magari il contachilometri è stato truccato per farla apparire meno vecchia. Negli Stati Uniti i bidoni sono chiamati “limoni”. Un compratore non è disposto a pagare un prezzo quasi pieno anche se l’auto gli viene presentata come quasi nuova. Siccome non sa, vuole uno sconto. In altri termini la mancanza di trasparenza ha un costo economico. Akerlof mi è tornato in mente martedì, quando la premier Giorgia Meloni all’assemblea di Confindustria a Bologna ha puntato il dito contro i “dazi interni” dell’Europa per la debole crescita. L’opacità è un dazio interno. E sinceramente sono convinto che non ci siano “limoni” nel governo dell’economia in Italia. Penso anche che l’attuale gestione prudente della finanza pubblica sia un valore in sé, che sta dando i suoi frutti. Eppure, per ragioni diverse, la scarsa voglia di spiegare che avverto in Italia – con la potenziale riduzione della trasparenza che essa comporta – sta diventando un tema. Per capirlo, facciamo un gioco: trovate la differenza fra le due immagini qua sotto.




















































Conti pubblici, Piazza Affari e bollette: i «dazi interni» che frenano l'Italia e il segreto di Akerlof

Spiegare il bilancio

Difficile eh? La prima la nota mensile di finanza pubblica della Ragioneria generale dello Stato, la seconda è la nota mensile sul fabbisogno del ministero dell’Economia. La prima dà tutte le informazioni: il fabbisogno mese per mese a confronto degli ultimi due anni; la disponibilità di cassa del Tesoro a confronto con gli ultimi due anni; i principali fattori che incidono sui saldi. La seconda dà solo il numero isolato del fabbisogno, a confronto con lo stesso mese dell’anno prima. La prima è sempre stata usata dagli investitori esteri nel debito pubblico italiano per fare previsioni sulle emissioni di titoli di Stato, formare strategie e comprare carta italiana. La seconda è sempre stata una formalità.

La nota della Ragioneria

Ora la seconda continua a uscire. L’ultima edizione della nota completa della Ragioneria invece è uscita a dicembre. Da allora sembra essere stata interrotta, senza un sussurro.

Il dialogo tra la Ragioneria Generale e l’ufficio di Bilancio

Chissà, magari tornerà presto più bella di prima. Ma per ora la sua dissolvenza non è esattamente un caso isolato. In una serie di audizioni in parlamento è andato in scena nelle ultime settimane un dialogo fra la Ragioneria dello Stato e l’Ufficio parlamentare di bilancio (l’Upb) nel quale le idee non coincidevano. Con la revisione delle regole di bilancio a Bruxelles, la Ragioneria sembra volersi attenere ai requisiti minimi europei di informazione nei documenti di finanza pubblica: questi sono pensati per Paesi molto più piccoli e con debiti molto meno vasti e complessi del nostro; in ogni caso seguire quei requisiti minimi ridurrebbe la visibilità sui conti dell’Italia negli anni a venire, rispetto a quanto pubblicato dal Tesoro da decenni. L’Upb invece vorrebbe mantenere il livello di trasparenza praticato fin qui. Sarà il governo a decidere.

Mancano gli obiettivi sui conti dei prossimi anni

Anche questo non è l’unico esempio. Per il secondo anno di seguito il Documento di finanza pubblica di aprile non ha pubblicato gli obiettivi sui conti dei prossimi anni, sui quali pure ci siamo impegnati con Bruxelles. Il loro andamento a legislazione invariata appare solo a pagina 51, quando in passato era il quadro di dati più importante e fornito nelle primissime pagine. E non è solo una questione stilistica. Carlo Cottarelli ha notato nel suo primo articolo sul “Corriere” (benvenuto Carlo!) che l’aumento delle entrate in Italia negli ultimi due o tre anni è stato ben più forte del previsto, ma il governo non ha ancora spiegato bene perché. La pressione fiscale è salita – secondo il Documento di finanza pubblica – in proporzione al prodotto lordo. Le entrate tributarie passano da 572 miliardi nel 2022 a 654 l’anno scorso, con un aumento dell’1,2% del Pil. In sostanza le tasse pagate sono di più, rispetto al reddito che si produce. 

Il parziale adeguamento dei salari

L’effetto è stato molto pronunciato soprattutto l’anno scorso. Ho già scritto che sospetto fortemente che in gran parte sia dovuto al (parziale, insufficiente) adeguamento di salari, stipendi e pensioni all’inflazione, che ha fatto scivolare tante persone del ceto medio e medio-basso in aliquote più alte dell’imposta sui redditi delle persone fisiche o ha fatto perdere loro detrazioni. Di fatto, ha negato qualunque riduzione del cuneo. Il risanamento della finanza pubblica si probabilmente regge così in gran parte su questo fenomeno a carico del lavoro dipendente e dei pensionati; non certo su un disegno razionale di riduzione della spesa pubblica, che non c’è (come ha appena notato il Fondo monetario internazionale).

Quanto resta del Pnrr

Ma se i dati non vengono forniti al pubblico, non lo sapremo mai con certezza. Del resto, tuttavia, ad aver dimenticato la lezione di Akerlof non è solo chi gestisce le entrate. Sul fronte della spesa, in particolare del Piano nazionale di ripresa e resilienza, è sorprendente che venga annunciata all’improvviso una revisione del 48% di quanto resta da fare. È successo dopo lunghissimi mesi di totale silenzio e ad appena un anno (su sei) dalle scadenze. Già, ma quanto resta da investire? Tolte le agevolazioni fiscali automatiche tipo Superbonus, in quasi cinque anni si sono spesi circa 35 dei 194 miliardi di euro del Piano. 

La piattaforma Regis non ha mai funzionato

La comunicazione ufficiale resta scarsa. La piattaforma della Ragioneria per tenere il conto – chiamata Regis – non ha mai funzionato davvero. Nella Relazione annuale appena presentata, la Banca d’Italia è andata a controllare i contributi versati agli operai cantiere per cantiere – presso le Casse edili – per rendersi conto che è in ritardo l’80% delle opere di un valore sopra i cinque milioni di euro. Anche qui gioverebbe un confronto pubblico un po’ più aperto. È vero per esempio che si pensa di definanziare da 700 a soli 160 milioni la costruzione di colonnine per auto elettriche, anche se ormai le file per le ricariche sono comuni nelle grandi città?

Come si usa il Golden Power

La lista potrebbe continuare nella finanza privata. Il governo non ha mai pubblicato il decreto con cui esercita il Golden Power – cioè, pone condizioni di fatto antieconomiche – all’offerta di Unicredit sull’altra banca milanese Banco Bpm. È un suo diritto non pubblicare. Ma l’esecutivo non ha neanche obblighi di segretezza, specie su una scelta così delicata e straordinaria. Non ha mai spiegato perché la fusione di una banca milanese con un’altra banca milanese creerebbe una grave “minaccia alla sicurezza nazionale” (quest’ultima è la condizione per l’esercizio di quel sostanziale diritto di veto chiamato Golden Power). 

La politica nella finanza

Esiste davvero quella minaccia o c’è solo la voglia nella politica di tornare a esercitare il proprio potere nella finanza e nel credito, dopo le sue brutte esperienze nel settore fino a metà dello scorso decennio? Perché il governo – invece di vendere e uscire – ha voluto partecipare quale primo azionista di Monte dei Paschi alla scalata di quest’ultima su Mediobanca e, potenzialmente, anche su Generali? Se si teme una presa di controllo degli snodi della finanza italiana da parte di soggetti esteri, non bastava il potere di veto conferito dal Golden Power? E perché l’anno scorso si è voluto un “Decreto capitali” che, favorendo e moltiplicando il potere dei più antichi azionisti nelle società quotate, dà all’estero un’impressione di protezionismo e favoritismo praticato in Italia a vantaggio di alcuni imprenditori in particolare?

Alzano le nuove barriere all’interno del Paese

Con tutte queste scelte si può dissentire o no. Ma vanno spiegate ai cittadini. Correttamente Giorgia Meloni chiede la caduta dei “dazi interni europei” e invoca un mercato integrato dei capitali. Eppure le mosse del suo governo sembrano andare in direzione opposta: alzano nuove barriere attorno all’Italia e intanto il parlamento continua a non ratificare la riforma Meccanismo europeo di stabilità, che sarebbe necessaria per dare alle banche una rete di protezione europea e creare le basi della stessa integrazione finanziaria che Meloni propone.

L’analisi sulle bollette

C’è poi un altro punto che la premier ha messo a fuoco nel suo discorso di Bologna, di fronte a industriali sensibili alla lunga recessione nel loro settore e a bollette fra le più care d’Europa. Ha detto Meloni: “La questione più urgente da affrontare è il nodo del costo dell’energia (…). Stiamo lavorando a un’analisi del funzionamento del mercato italiano per comprendere se eventuali anomalie (…) possano essere la causa di aumenti ingiustificati”.

Gli andamenti delle società quotate

Su questo, gli andamenti dei conti delle società quotate dell’energia in questa prima parte del 2025 invitano ad alcune riflessioni. Preciso che non ho niente contro l’Enel, al contrario: non le si può chiedere di immolarsi con un auto da fè. Persegue con correttezza il proprio ruolo di massimizzare i profitti per i propri azionisti, innova ed è uno dei pochissimi grandi gruppi italiani a proiettare la propria forza all’estero, nell’interesse anche di tanti suoi fornitori del Paese. Non solo. I margini di guadagno dell’Enel che sto per presentare non sono frutto di azioni o manipolazioni del mercato da parte dei suoi manager; sono realizzati in mercati regolamentati dall’autorità di settore (Arera) o frutto di antichissime decisioni di altri governi molti anni fa, dunque dipendono da politiche pubbliche.

La redditività dell’Enel

Detto questo, avete visto i conti di Enel del primo trimestre 2025? La redditività operativa nella distribuzione elettrica in Italia è del 50,6%, cioè ogni due euro di ricavi un po’ più un euro è di guadagno (prima di pagare le tasse, gli interessi sul debito e prima di contare la svalutazione degli asset nel tempo e l’ammortamento degli investimenti). Chi è più addetto ai lavori di me lo chiama “margine ebitda”. Va detto che per Enel la stessa voce di redditività è altissima anche in Spagna, ma nel resto del mondo (in gran parte, il Brasile) è del 22%, dunque il margine di guadagno in questa definizione è di meno della metà per lo stesso mestiere.

Sulle rinnovabili

In Italia, per Enel la distribuzione elettrica rappresenta il 18,7% dei ricavi ma il 36,5% della redditività totale come l’ho appena definita. In sostanza il gruppo realizza notevoli profitti in un’attività per la quale il governo ha appena rinnovato le concessioni per vent’anni senza gara (e senza dibattito pubblico). La redditività operativa di Enel sulle rinnovabili in Italia è del 53,5% (nella definizione di cui sopra) ma in Spagna è del 70% e nel resto del mondo del 56%. È molto probabile che altre aziende in Italia abbiano margini persino maggiori, prendo questa giusto in quanto emblematica per le sue dimensioni.

I conti del primo trimestre

Stiamo parlando in entrambi questi specifici mestieri – distribuzione elettrica e rinnovabili – di una redditività operativa circa doppia rispetto a quella media del gruppo. I guadagni in questa definizione dalle due voci nel primo trimestre nella sola Italia sono stati, per Enel, un po’ più di tre miliardi di euro: un po’ più di un quarto dei ricavi totali in Italia, ma oltre la metà dei guadagni (sempre prima di tasse, interessi sul debito e prima di contare la svalutazione degli asset nel tempo e l’ammortamento degli investimenti).

Il potere è meno tenuto a spiegare

Ancora una volta: non si tratta di deprecare l’Enel, che fa il proprio mestiere. Anche quando guadagna molto.  Cosa vogliamo? Come nella finanza pubblica o nel ruolo del governo nella finanza privata, il punto è decidere se in Italia vogliamo avere una discussione pacata e informata sulle cose che contano. Oppure vogliamo passare direttamente da anni di distrazione alle urla da talk show, quando poi le questioni esplodono. Non credo che su molti dei punti che ho descritto abbiamo molto da imparare dalla Francia, dalla Germania e sicuramente non dagli Stati Uniti. Né credo che la preferenza istintiva per una trasparenza – diciamo – limitata sia specialmente di destra, o di sinistra. Probabilmente è un effetto che il potere fa ai suoi detentori quando questi diventano più sicuri di sé: si sentono un po’ meno tenuti a spiegare. Invece Akerlof ci insegna che, alla fine, farlo è nell’interesse di tutti e anche loro. A maggior ragione in un Paese da decenni ancorato a una crescita da zero virgola.

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2 giugno 2025



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