Prestiti dalla banca? Messina e Orcel hanno idee diverse


Carlo Messina e Andrea Orcel sono a capo delle prime due banche italiane, rispettivamente Intesa Sanpaolo e Unicredit. In queste settimane, sta emergendo con chiarezza la diversità d’impostazione in merito alla visione di cosa sia una banca, a cosa serva e come si debba rapportare con l’economia in cui opera. Una lite a mezzo stampa, pur tra le righe, che trae origine dalla necessità del sistema Paese di accedere ai prestiti per poter innovare e crescere.

Unicredit al centro del risiko bancario

Unicredit è impegnata su diversi fronti per rilevare uno o più rivali in patria e all’estero. Sta cercando di scalare la tedesca Commerzbank e al contempo Banco BPM. E’ entrata nel capitale di Generali e, uscita sconfitta all’assemblea degli azionisti di aprile, ora punterebbe a tornare nell’azionariato di Mediobanca.

Un attivismo che ha attirato le attenzioni del governo, il quale sta mettendo ad Orcel il bastone tra le ruote per impedirgli di acquisire il controllo di Piazza Meda o per rendergli l’operazione più difficoltosa e meno conveniente.

Messina e Orcel divisi sui prestiti alle imprese

Anche Messina ha detto la sua all’assemblea di FABI, il sindacato di categoria. E lo ha fatto per stigmatizzare l’avversario: gli direi “fermati”, ha affermato per il caso in cui Orcel mettesse nel mirino la compagnia di Trieste. Il CEO di Intesa ha aggiunto che la sua banca gestisce 1.400 miliardi di euro di risparmi, ma sarebbe ingenuo pensare che possa portali dove voglia. Un riferimento esplicito al golden power, il cui obiettivo finale consisterebbe nel proteggere i prestiti erogati da Banco BPM alle imprese del Nord, nonché di mettere sull’attenti anche Generali sulla joint venture con la francese Natixis.

Banchiere sovranista contro banchiere internazionale? Messa così, sarebbe infantile. Anche se c’è del vero in questa categorizzazione spicciola. Partiamo da un assunto: ogni banchiere punta al profitto. E guai se così non fosse. Le banche non sono onlus, bensì imprese del denaro. Il loro compito è raccogliere liquidità da chi ne ha in abbondanza (famiglie) per prestarla a chi ne ha bisogno (imprese). Solo se riescono a spuntare tassi più alti rispetto alla remunerazione concessa ai clienti, possono dirsi sane.

Banche sempre più lontane dai territori

In Italia, le banche da tempo si stanno allontanando dai territori. Aggregazione dopo aggregazione, perdono di vista il loro compito principale per darsi alla pura finanza. Non è cosa sbagliata in sé, anzi. Il punto è che se tutte fanno così, ad erogare prestiti non resta più nessuno. E senza liquidità le imprese muoiono o nel caso migliore smettono di crescere. E’ un male per l’economia italiana. Negli ultimi 5 anni, la massa dei prestiti al settore privato si è contratta di oltre 5 miliardi in valore assoluto, pari al -0,36%. In termini reali, -18,7%. Nel frattempo, i depositi sono aumentati di oltre 34 miliardi (+1,9%), pur diminuendo in termini reali del 16,4%.

Fatto sta che fino a quasi la fine del decennio scorso avevamo un rapporto tra impieghi e depositi sopra il 100%, mentre oggi siamo stabilmente sotto l’80%.

In pratica, su 100 euro di depositi che i clienti portano in banca, meno di 80 ne vengono prestati a famiglie e imprese. Tutto questo sta frenando la crescita del Pil. Nessuno può obbligare per legge le banche a prestare denaro. Se non lo fanno, in molti casi è perché non si fidano. E se non si fidano, è perché valutano le condizioni socio-economiche dei clienti e macro non positivamente.

Rischio risparmi italiani all’estero

Ma gli scazzi tra Messina e Orcel celano un discorso più complesso. Il primo sostiene che ci sia il rischio che i risparmi degli italiani finiscano all’estero per finanziare le imprese straniere, concorrenti a quelle italiane. Il secondo si trova a capo di una banca con utili record, ma che eroga prestiti alle imprese nostrane per appena il 35% del totale. E, infatti, non ci pensa ad accettare i vincoli del governo per avallare l’OPS su Banco BPM, tra cui il mantenimento del rapporto tra impieghi e depositi. E’ evidente che il suo obiettivo sia altro, ossia fare utili o prestando denaro altrove o utilizzandolo per operazioni non commerciali.

Che il governo stia intromettendosi pesantemente nella vicenda, non c’è dubbio. E non va bene, perché quando il mercato non viene fatto funzionare e s’impongono logiche politiche, i risultati non sono mai apprezzabili. Tuttavia, le premesse condivise da Messina sono giuste: le banche servono a fare affluire liquidità dove viene richiesta. Smettendo di concedere prestiti, uccidono il tessuto produttivo. Alla lunga segano l’albero su cui siedono. Senza la creazione di ricchezza da parte delle imprese, non ci sarebbe più neanche su cosa e come investire sui mercati finanziari.

Prestiti vitali per l’economia

Va bene aggregarsi per diventare più grandi e competitive con i colossi stranieri, specie americani. E’ un processo auspicato dall’Unione Europea per l’intera area. Occhio, però, a perdere di vista l’obiettivo finale, che consiste nel creare un mercato del credito più efficiente ed efficace.

Invece, la sensazione è che dopo ogni aggregazione gli sportelli fisici chiudano nel nome dell’efficienza dei costi e dell’innovazione tecnologica. I rapporti con i territori vengono rescissi e la fiducia verso la clientela diminuisce sempre più non già in base a considerazioni oggettive, bensì per la mancanza di conoscenza. Sarebbe un male “convincere” le banche a tornare a coltivare la conoscenza dei territori? Magari si accorgerebbero di poter accrescere ulteriormente i profitti erogando prestiti a chi oggi viene snobbato ingiustamente.

[email protected] 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link