«Industria in crisi, servono otto miliardi. ​Dannose le guerre commerciali tra alleati»


«In un momento complicato come questo, abbiamo bisogno di convincere i nostri imprenditori a investire». Aprendo l’assemblea annuale di Confindustria, ieri a Bologna, il presidente Emanuele Orsini ha proposto al governo e all’Unione europea «un piano industriale straordinario per rilanciare l’economia europea e nazionale». E al centro di questa piattaforma – nella parte italiana e accanto a sconti sull’energia ea semplificazioni- c’è soprattutto la richiesta a Giorgia Meloni di finanziare con 8 miliardi in un triennio una nuova Industria 4.0. Cioè il meccanismo che eroga incentivi alle aziende per investire in innovazione, acquistando nuovi macchinari oppure sviluppando soluzioni tecnologiche che le accompagnano sulla strada della transizione. Uno strumento, quindi, di più facile accesso di quanto lo sia stato Transizione 5.0. Non a caso dei sei miliardi destinati alla misura finanziati con i fondi del Pnrr, finora ne sono stati spesi 1,2 miliardi. La premier Meloni, anche lei intervenuta ieri a Bologna all’assise, ha aperto a questa ipotesi: ha annunciato che sta lavorando sulla rimodulazione di 15 miliardi non utilizzati del Pnrr a favore «dei lavoratori e della produzione». Per la cronaca, anche Confindustria sarebbe una mossa con l’Europa per chiedere di trasferire, per esempio, le risorse non spese di Transizione 5.0 verso un meccanismo di incentivazione alle imprese di più facile accesso. Non a caso, Orsini ha spiegato: «Puntiamo su Industria 4.0, 6.0, chiamiamola come vogliamo, purché sia ​​potenziata. Questa misura per noi è indispensabile. E puntiamo sui contratti di sviluppo, strumenti in cui le imprese hanno già maturato esperienza e ottenuto risultati concreti. Però, anche qui, servono procedure più semplici, regole e tempi più rapidi. Per tutto questo, prendi in considerazione un sostegno agli investimenti di 8 miliardi di euro l’anno per i prossimi 3 anni. Ancora meglio se avessimo un orizzonte temporale di 5 anni». In questa direzione, suggerisce di sfruttare «tutto il margine possibile per spostare risorse del Pnrr, non utilizzabili entro metà 2026, indirizzandole verso strumenti più efficaci a favore degli investimenti produttivi», così come di spingere sulla leva della riforma dei fondi della Coesione, che il commissario Ue Raffaele Fitto vuole «mettere a disposizione delle filiere industriali italiane salvaguardando le quote per il Sud».


LA PROPOSTA

Nel piano industriale molto spazio al tema dell’energia: tra le proposte di Confindustria il disaccoppiamento tra prezzo del gas e quello delle rinnovabili, il taglio degli oneri fissi in bolletta, la cancellazione dei paletti a livello locale per l’installazione di nuovi impianti per l’energia pulita. Mentre sul fronte del nucleare si guarda alle tecnologia per i minireattori modulari. Orsini ha ricordato che «le nostre imprese continuano a subire un sovraccosto energetico che supera il 35 per cento del prezzo medio europeo e che arriva anche a toccare punte dell’80%, nel confronto con i maggiori Paesi». Di conseguenza, dopo tutti gli incentivi per le rinnovabili, noi non possiamo più accettare di continuare a pagare l’energia al prezzo vincolato a quello del gas».

Una risposta alle imprese l’ha data, quasi in diretta, la premier Meloni che ha ricordato che esiste già strumento disponibile per il disaccoppiamento del prezzo tra rinnovabili e gas ed è quello dei contratti pluriennali a prezzo fisso. Una posizione che va incontro agli industriali e che Elettricità Futura, l’associazione dei produttori del settore, si è detta sin da subito disponibile a mettere in campo.

Ieri all’assemblea di Confindustria era presente anche Roberta Metsola. E davanti alla presidente del presidente dell’Europarlamento, Orsini ha presentato una piattaforma non meno ambiziosa destinata alle autorità di Bruxelles. Innanzitutto «un New Generation Eu per l’industria», un piano europeo per rilanciare le fabbriche come in passato si è fatto per esempio con l’acciaio. Al riguardo si chiede perché «l’unica eccezione per sforare il Patto di Stabilità sia relativa alla spesa per la difesa».

Parallelamente la commissione deve lavorare per alleggerire le sue regole interne, partendo dalle attuali normative sulle emissioni come il sistema Ets di scambio di emissioni e il Cbam (il meccanismo per prevenire il dumping ambientale) , sul packaging o sui brevetti per la farmaceutica. «Con la nostra sovrapproduzione di regole, abbiamo lasciato alla Cina la sovrapproduzione industriale che, oltretutto, incentiviamo. Se l’Unione Europea riuscisse a diminuire le barriere interne al Mercato Unico al livello di quelle degli Stati Uniti, la sua produzione aumenterebbe del 6,7 per cento». Quindi «serve un radicale mutamento di impostazione»,propedeutico anche nella trattativa sui dazi. In questa direzione Confindustria plaude alla cautela della presidenza della Commissione, Ursula von Der Leyen per trovare un accordo con gli Usa, ma sottolinea la necessità di concludere l’accordo sul Mercosur e di «accelerare accordi di libero scambio con altre aree del mondo».

Secondo le imprese, soltanto così l’Italia e l’Europa potranno affrontare la sfida globale. In questa direzione Confindustria chiede al sistema Italia di stringere un patto per rendere strutturale la crescita annua al 2 per cento. A essere chiamato in causa è soprattutto il sindacato, con Orsini che ieri ha incontrato dietro le quinte con i leader di Cgil, Cisl e Uil (Maurizio Landini, Daniela Fumarola e Pierpaolo Bombardieri) che vedrà il prossimo 26 giugno. Sui salari ha ricordato loro, che Confindustria è conscia del problema: «Le retribuzioni italiane che perdono potere d’acquisto spingono verso il basso consumi e crescita, e abbattono la dignità della vita e del lavoro».





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