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Usura, truffa e riciclaggio, cade l’aggravante mafiosa a Sarno: «Non c’è il clan»


Non c’è l’agevolazione mafiosa, perchè non c’è il clan. Questa, in sintesi, la decisione del Tribunale del riesame di Salerno, che ha rigettato l’appello dell’Antimafia per cinque persone, coinvolte in un’inchiesta per truffa e usura, insieme ad altre accuse satelliti, dove la figura chiave viene ritenuta essere quella di Massimo Graziano, di Sarno. La Dda aveva appellato per cinque posizioni, ritenendo sussistente l’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Le motivazioni dei giudici hanno spiegato, nel dettaglio, il perché sussista un’associazione semplice e non di natura camorristica. L’inchiesta è invece chiusa, con 35 persone che rischiano il processo.

Le accuse, a vario titolo, sono associazione a delinquere, usura, esercizio abusivo dell’attività finanziaria estorsione, favoreggiamento, truffa ai danni dello Stato, turbata libertà degli incanti, trasferimento fraudolento di valori, emissione di fatture per operazioni inesistenti, riciclaggio e reimpiego di denaro provento di reato, oltre ad illeciti in materia di contrasto all’immigrazione clandestina.

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Pochi mesi fa, la Guardia di Finanza aveva eseguito oltre venti misure cautelari. A capo della presunta organizzazione viene collocato Massimo Graziano, 52enne già condannato per reati di camorra, il quale si sarebbe avvalso della forza di intimidazione per una serie di affari illeciti nel comune di Sarno e altrove. L’obiettivo, secondo quanto raccontato nei capi d’imputazione ricostruiti dalla Guardia di Finanza, era il controllo economico e imprenditoriale del territorio di Sarno.

L’ipotesi di un’associazione mafiosa, dunque con l’aggravante, era caduta in sede di Gip. Tra le tante accuse mosse a vario titolo, agli indagati, c’è quella di aver ottenuto finanziamenti agevolati per le piccole e medie imprese. Quel denaro sarebbe stato poi utilizzato per fare prestiti a tassi d’usura, pretendendone la restituzione poi con metodi estorsivi. Il meccanismo fraudolento coinvolgeva società di capitali di cui era simulata la solidità patrimoniale e finanziaria, per ottenere finanziamenti di cui non venivano pagate le rate, ammortizzate dalla garanzia statale. L’inchiesta ha ricostruito anche interessi legati all’immigrazione clandestina, attestando in più di 500 casi, falsi contratti dietro compenso di 5.000 euro per ogni nulla osta rilasciato.





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