Record di chiusure nella ristorazione, meno 19mila locali in un anno


Mentre gli italiani spendono sempre di più per mangiare fuori casa, i ristoranti chiudono. Nel 2024, oltre 19.000 locali hanno abbassato la serranda, segnando il peggior saldo dell’ultimo decennio. Non è un’anomalia, è il sintomo di una crisi profonda, che tocca margini, modelli di business e fiducia nel settore.

Tutto questo emerge dai dati dell’Osservatorio Ristorazione 2025. Secondo i numeri, nel corso dell’anno sono stati spesi 96 miliardi di euro in pasti fuori casa, il dato più alto dal pre-Covid. Eppure il numero di imprese attive continua a calare, con un saldo negativo di -19.019 attività. A soffrire sono soprattutto le grandi città. Ma c’è anche chi resiste, chi si trasforma e chi cresce.

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Boom di spesa, ma la ristorazione chiude

Nel 2024 le cessazioni delle attività di ristorazione sono state 29.738, contro appena 10.719 nuove iscrizioni alle Camere di Commercio. Il saldo è negativo. “La ristorazione italiana sta attraversando una crisi strutturale”, commenta Lorenzo Ferrari, presidente dell’Osservatorio. “Non è più una questione congiunturale o di stagionalità: serve un cambio di passo”.

Il paradosso però è nei numeri: i prezzi medi sono cresciuti del 6% rispetto al 2023 e del 19% rispetto al 2020, ma i margini si assottigliano e le spese aumentano. In testa, dicono i dati, le province più colpite sono:

Contabilità

Buste paga

 

  • Roma (-495 attività)
  • Milano (-221)
  • Bologna (-168).

Il Sud tiene: Palermo e Napoli crescono

Il crollo non è omogeneo. Alcune città, soprattutto del Sud, mostrano segnali di resistenza. Palermo (+1,4%) e Napoli (+0,3%) hanno chiuso l’anno in positivo, così come Firenze (+0,5%). In totale, le attività attive in Italia sono oggi 327.850, con una perdita dell’1,22% rispetto all’anno precedente.

La dinamica che emerge dalla fotografia dell’Osservatorio è chiara: aprono meno locali e quelli che restano tendono a consolidarsi, spesso sotto forme societarie più strutturate. I piccoli imprenditori, invece, fanno più fatica a sostenere affitti, burocrazia e carenza di personale.

Chi chiude (e chi apre)

Molte delle cessazioni riguardano imprese individuali, ristoranti familiari o attività storiche incapaci di reggere l’inflazione in crescita. A chiudere sono anche bar e bistrot descritti come senza un’identità forte. Chi apre, invece, spesso lo fa con modelli snelli, replicabili, pensati per durare pochi anni o per adattarsi rapidamente ai gusti e alle abitudini dei clienti sulle cene fuori.

Anche l’occupazione lancia dei segnali preoccupanti. Ogni chiusura infatti può significare 3-5 posti di lavoro in meno. Il saldo negativo del 2024 potrebbe aver avuto un impatto su oltre 60.000 addetti del settore.

Altri dati che emergono dall’Osservatorio seguono 3 trend chiave, soprattutto nelle grandi città:

  • funzionano le dark kitchen e i brand virtuali che lavorano solo su delivery;
  • bene le catene replicabili, spesso gestite da una sola società;
  • resistono i format “usa e chiudi”, progettati per vivere 2-3 anni e poi reinventarsi.

Allo stesso tempo, tornano a funzionare i ristoranti con identità forti, menù semplici, filiera corta e un’esperienza riconoscibile. In un contesto difficile, chi sopravvive è chi sa comunicare, adattarsi e fare impresa con metodo e visione. Molto forte la presenza sui social, che richiede però nuove capacità e collaborazione con freelance, come i social media manager. I risultati, in molti casi, sono positivi e creano veri e propri fenomeni di viralità.





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