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Imprese femminili, cresciute del 10% in un anno ma poco competitive e poco aperte all’estero: i progetti per le donne


di
Sara Tirrito

Sostenere l’imprenditorialità femminile potrebbe contribuire a ridurre il divario, alimentato dal fatto che solo il 57,7% delle donne in Italia ha un lavoro, contro il 70% della media Ue

Le imprese femminili in Italia crescono ma non sono all’avanguardia, eppure potrebbero contribuire a ridurre il divario di genere. Secondo l’ultimo report di Cribis (società del gruppo Crif), al 2024 le aziende italiane guidate da donne rappresentano il 19,2% del totale, il 10,3% in più rispetto all’anno precedente, ma restano confinate ai settori tradizionali e non puntano ai mercati internazionali. Stando poi a un report del dipartimento di Ricerca di Intesa Sanpaolo, solo il 57,7% delle donne in età occupazionale ha un lavoro, contro il 70% circa della media Ue. Sostenere le imprese potrebbe essere una strada per accelerare il saldo del divario, ma gli studi di settore e le istituzioni chiedono coinvolgimento nella leadership e formazione stem.

Geografia e settori delle imprese femminili

Lo studio Cribis considera “femminili” le imprese con titolari donne, ma anche quelle in cui più della metà del board o del personale è composta da donne, e quelle in cui la maggioranza del capitale è detenuto da azioniste. Su un totale di circa 5 milioni e mezzo di imprese analizzate, un milione è a gestione femminile. Lazio (20,5%), Abruzzo e Basilicata (20,4%) sono le regioni con la maggiore incidenza sul totale. A livello provinciale, Prato guida la classifica con il 23,8%, seguita da Frosinone e La Spezia (22,5%). La maggior parte delle aziende femminili però è una microimpresa (95,8%), quindi ha una dimensione ridotta e una struttura aziendale spesso familiare, e si occupa di mercati tradizionali. Restano dominanti i settori tradizionali: queste realtà operano per lo più nei servizi sociali (52,5%), nelle industrie tessili (39,6%) e nel commercio al dettaglio di abbigliamento (39,1%).




















































Internazionalizzazione e digitalizzazione

È scarsa l’iniziativa a guardare all’estero e all’uso di tecnologie. Solo lo 0,9% delle imprese femminili ha un alto livello di internazionalizzazione e l’84,6% mostra ancora un basso livello di predisposizione al digitale, quindi adotta poche tecnologie sul lavoro. Migliore è il dato sull’innovazione in senso ampio, con oltre il 22,1% delle imprese femminili che evidenzia un livello medio-alto di propensione all’introduzione di nuovi prodotti e processi innovativi. Parte di questi limiti dipende dal fatto che le imprenditrici italiane devono affrontare ostacoli come difficoltà di accesso al credito, un limitato coinvolgimento nei network imprenditoriali e una scarsa offerta di servizi di supporto alle start-up al femminile.

Il potenziale inespresso e le soluzioni

L’Unione europea ha lanciato più appelli  a finanziare e incoraggiare le manager, ma il problema non è ancora realmente percepito, e l’Italia è puntualmente in fondo alle classifiche del Continente, ultima da 13 anni per parità di genere sul lavoro
Alcuni enti stanno provando a proporre soluzioni, tra questi Intesa Sanpaolo e Fondazione Marisa Bellisario, che insieme hanno istituito il premio «Women Value Company», giunto alla 9° edizione e rivolto a imprese pubbliche e private di dimensioni medio-piccole per favorire l’occupazione e l’imprenditoria femminile. Lo scopo è promuovere iniziative di welfare aziendale che agevolino le donne e facilitino la conciliazione tra famiglia e lavoro. Le candidature sono aperte fino al 23 aprile, le aziende devono dimostrare di avere buone performance ma anche di avere attivato asili nido, benefit o voucher o altre iniziative per sostenere le dipendenti.

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7 marzo 2025



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